2 marzo 2008

BANCHI DI NEBBIA, II





Ogni lunedì mattina sbarco dall'autobus lungo questo anonimo stradone, a questa fermata segnalata appena da un paletto giallo, in questa periferia della periferia del mondo. Ogni lunedì mattina mi sento straniera, anzi che dico: pendolare, quanto si può esserlo nel più profondo dell'animo, extracomunitaria di fatto dopo un viaggio in compagnia di cinesi a frotte post-comuniste, macedoni diretti ai cantieri della Bassa, pakistani in un piccolo misterioso drappello d'incerto destino, ed un poveraccio che dorme sdraiato di traverso sull'ultima fila di sedili. Approdo infine in fondo a queste venete lagune piena di sonno e con la nausea per i sobbalzi del mezzo male ammortizzato, e pensare che l'ultimo rettilineo di strada l'abbiamo fatto puntando dritto verso il sole che stava sorgendo, altro che nebbia: sol dell'avvenir che nemmeno il realismo socialista ne ha mai inventato uno così raggiante di speranze. Dai, che andiamo al bar a farci un caffè, dico alla collega sfigata pendolare come me. E si va a bere la tazzina di consolazione.


Se c'è un giorno che mi sta antipatico, cazzo, è il lunedì. Cinque ore di lezione in cinque classi diverse, più un'ora buca che fa sei, e sorveglianza all'intervallo, che neanche pisciare si può più. Doppiato il bancone dei bidelli, salita la scala, fatta una puntatina al cesso delle signore, entro nello stanzone che sarebbe la sala insegnati ma sembra un cimitero degli anni settanta, con tutti quei loculi in fila alle pareti ognuno con la sua targhetta, Professor TaldeiTali, professoressa Tizia Caia: requiescant in pace, amen. Qualcuno s'è appeso alla chiave un pupazzetto di peluche , così il loculo sembra quello di un bambino come se ne vedono in tivvù dopo qualche fatto di sangue, Cogne o Gravina di Puglia, che ne sò.


Mi girano già le palle a mille. Butto l'occhio sul tatzebao dei colleghi di Cielle: ogni mese, sotto il titolo Out-of-the-window (!), appare una citazione tratta da qualche opuscolo circolante in parrocchia, qualche libretto del dongiussanipensiero, o magari pescata sull' internet (meraviglie della scienza e della tecnica), banalità del tipo "non ci sono più le mezze stagioni", seguite da sette otto firme di attivisti. Nella citazione di oggi si parla di lavoro che deve essere fatto bene, non per il guadagno ma per il piacere, si parla di un falegname che fa andare la pialla, di una sedia che sta in piedi sulle sue gambe, di cattedrali gotiche che stanno in piedi anche loro, e poi suona la campanella e mi risparmio la fine, che ci scommetto blatera di grandi valori e compagnia bella.


Sono le otto, cari miei. Indosso la mia faccia da insegnante allegra. Si, perchè ho letto sul giornale una statistica: la maggior parte degli adolescenti pensa che i docenti siano dei poveri sfigati depressi, ergo la cultura, il sapere, sono roba triste, da frustrati, e allora perchè studiare? Buongiorno ragazze, come state, tutto a posto? Eccoci qua, passata bene la domenica? E giù con l'entusiasmo, voce squillante e sorriso smagliante, misurando a grandi falcate lo stretto corridoio tra cattedra e banchi, falcate piene di energia positiva e determinazione, come di chi sa bene: a) chi è, e b) che cosa ci sta a fare qui. Non è meraviglisoso? L'ho visto fare al cinema. Lì, funzionava.


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