27 febbraio 2007

Andando per mostre a Barcellona

GALLERIA MAEGHT, vicino al museo Picasso.
Splendido palazzo cinquiecentesco. La sala è grande, bianca e vuota di esseri viventi, a parte me, seduta proprio al centro su un puff di pelle. Intorno, opere di ANTONI AMAT, perlopiù tecniche miste, acrilico e cemento: rosso e grigio e nero, blu e arancio e grigio e nero, sbreghi nel cemento che lasciano apparire il colore steso sul pannello. Non mi producono vibrazioni nè di tipo visivo-percettivo nè, tantomeno, di tipo emozionale o intellettivo. Il gioco tra superfici colore e spazio si ripete in combinazioni diverse ma, infine, sempre uguali.
Accanto al pannello che ho di fronte, 122x100, il prezzo: 5000 euro.

4 febbraio 2007

Reality-smo


Dal momento che non c'è una telecamera a registrarlo, mi chiedo se ci sono prove che sto vivendo. Come ho fatto a percorrere quasi un'intera vita: infanzia da bambina del dopoguerra, adolescenza anni sessanta/settanta, amori, fidanzamento, matrimonio e poi di nuovo single, senza dichiarazioni TV, pubbliche confessioni e pubbliche smentite? Senza lacrime in diretta. Senza lettere a Repubblica. E' un mistero che la mia esistenza sia così emozionante nonostante l'assenza, intorno, di un teatrino e titoli che scorrono. Lo ammetto, sono una che sta fuori dalla reality-tà, poveretta *. Cosa di cui non frega niente a nessuno, e men che meno a me.
C'è del buono in questo:
a) la reality-tà mi ispira una gran noia, uno sbadiglio infinito, una repulsione senza attenuanti;
b) non mi si potrà accusare, un giorno, di aver dato una mano ad alimentare il gran brodo della volgarità e dell'insignificanza;
c) sto in pace con me stessa in questo posticino che la massa (il gregge) ignora, così poco frequentato che vi è ancora possibile un pò di silenzio, e mi leggo un buon libro bevendo il tè, dipingo e ascolto la mia musica. La vita non è male!
d) con discrezione, mi sento libera di essere come sono, e di pensare.

* sul termine reality-tà voglio il marchio registrato.