16 gennaio 2007

Del non-finito


Spesso mi domando, nel lavorare ad un dipinto, se sia bene lasciare parti non terminate. Il fatto è che le ultime cose che ho realizzato mi sono sembrate più significative e più "forti" in itinere che una volta concluse, come se avessero smesso di parlare o assunto una distanza siderale. Però ci vuole coraggio per non riempire di colore tutta la tela: sembra facile, ma non lo è, e non solo per un problema di convenzioni. A mio modo di intendere, non si tratta di interrompere il lavoro lasciando al caso o al buon gusto compositivo una parte di esso, bensì di stabilire un rapporto tra la materia grezza o sbozzata (l'imprimitira, l'abbozzo che ha valore di idea, di progetto) e l'immagine finita (che diventa realtà creata, conclusa, ineluttabile). Vorrei trovare un punto di equilibrio tra queste due modalità dell'opera. Vorrei trovare una soluzione che parta da una riflessione sul linguaggio pittorico stesso, e che approdi al un esito di "modernità".
Recentemente ho imposto una virata al mio modo di lavorare, scegliendo tele più grandi, pennelli più grossi e rigidi, una pittura più veloce e di impronta più drammatica. Le Nature Morte di qualche tempo fa non lasciavano certo spazio all'idea del non-finito, non tanto per coerenza tecnica o stilistica, quanto per esigenze espressive: il silenzio degli oggetti, il loro perdurare fuori del tempo, la lontananza da ciò che vive e muore, le passioni decantate fino al distacco... Tutto ciò non mi basta più. C'è qualcosa che mi preme, non ho più tempo per l'osservazione lenticolare e virtuosistica, il lavoro di fino: voglio esprimermi con più forza e anche evitare di ripetermi. In fondo ho già dimostrato di saper rendere con precisione le pieghe di un tessuto, il riflesso di un vetro, la lucentezza e l'opacità, la trasparenza. Perciò, basta!
Naturalmente parlando di non finito ho in mente il più illustre degli esempi, Michelangelo: consapevolezza di una perfezione irraggiungibile, tensione, valorizzazione del processo artistico come percorso spirituale, insoddifazione e tormento interiore, impazienza dell'artista (Artista) in preda al furor. Interpretazioni.
Secondo Alessandra (17 anni, quarta liceo) il non finito "serve a instaurare un dialogo con l'osservatore, il quale ha la facoltà di attivare la sua immaginazione e di sentirsi coinvolto nell'attività creatrice". Son cose che inventano gli studenti quando li si coglie impreparati ma... perchè no? Non sta anche in ciò il fascino che esercitano su di noi lo Schiavo che si sveglia, o la Pietà Rondanini?
Nicolaas, che parla un buffo italiano, confonde spesso il termine infinito con non-finito, e io lo correggo. Ma si tratta davvero di un errore? Ci sono, tra i due termini, dei punti di contiguità, poichè ciò che è esente da limiti può anche presentarsi come incompiuto, sospeso, imperfetto, incompleto. E se il non- finito fosse il linguaggio dell'infinito?

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